mercoledì 20 aprile 2016

Angela Maria Tam, Terziaria Francescana, fucilata dai partigiani a Buglio in Monte il 6 maggio 1945

Muoio perdonando a tutti
e chiedendo perdono se ho offeso e disgustato qualcuno.
Sono lieta di raggiungere in Cielo i nostri eroi.
Sarà così bello in Cielo!
Durante tutto il viaggio da Sondrio a Buglio
ho cantato le canzoni della Vergine.
Ho passato in prigione ore di raccoglimento e di vicinanza a Dio!
Viva l'Italia!
Gesù la benedica e la riconduca all'amore e all'unità
per il nostro sacrificio.
Così sia
Angela Maria Tam, lettera scritta prima della fucilazione

Angela Maria Tam. insegnante di Sondrio, Ausiliaria
della Repubblica di Salò, terziaria francescana, fucilata senza 
alcun processo dai partigiani, a guerra finita, il 6 maggio 1945
a Buglio in Monte. 
La tragica vicenda di Angela Maria Tam, giovane insegnante,  che fu violentata prima di essere uccisa, è riportata anche nel libro "Il sangue dei vinti" di Giampaolo Pansa a pag. 74:
"Il 4 maggio, i partigiani si presentarono alla ex Casa del fascio di Sondrio, utilizzata come luogo di concentramento dei prigionieri. Vi prelevarono 8 fascisti, 6 ufficiali e 2 civili, li condussero ad Ardenno, li obbligarono a scavarsi la fossa e li uccisero. Il 6 maggio altri 13 prigionieri a Sondrio furono condotti a Buglio in Monte e giustiziati. Erano quasi tutti ufficiali o esponenti locali del fascismo. Tra questi il federale Parmeggiani, il suo vice Mario Zoppis, altri dirigenti della federazione, il direttore del "Popolo valtellinese", Gustavo Poletti, il comandante della 3^ Legione confinaria della Gnr e una donna, un'insegnante, che pare fosse un'Ausiliaria. Si chiamava Angela Maria Tam ed era terziaria francescana. Prima di essere giustiziata consegnò a un sacerdote una lettera in cui perdonava i suoi assassini."

Per saperne di più:
Servizio Ausiliario Femminile R.S.I.






Il sangue dei vinti - A pag. 74 la storia di Angela Maria Tam

venerdì 11 marzo 2016

Pietro Salvatore Colombo, OFM, vescovo di Mogadiscio, Somalia, martire, assassinato il 9 luglio 1989

"Come incenso al Tuo cospetto"

Monsignore Salvatore Colombo, vescovo di Mogadiscio, Somalia

Monsignore Salvatore Colombo nasce a Carate Brianza il 28 ottobre 1922.
Viene chiamato Pietro al fonte battesimale dai genitori Luigi Colombo ed Ernestina Farina. E' l'ultimo di 5 figli. L'infanzia trascorre serena, nella cascina della pianura lombarda. Il rosario serale  riunisce la famiglia nella devozione alla Santa Madre di Dio.
Nel 1933, a undici anni, entra nell'Ordine dei Frati Minori di Lombardia.
In piena guerra mondiale fra Salvatore prosegue i suoi studi teologici nel convento di sant'Antonio a Milano, in via Farini 10, dove ora riposano le sue spoglie. 
Il 20 agosto 1944, nella stessa chiesa di Sant'Antonio, fra Salvatore si consacra per sempre a Dio nell'Ordine francescano, emettendo la professione solenne.
Ordinato sacerdote nel 1946 dal beato cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, l'anno dopo, il 30 marzo 1947,  parte per la Somalia dove fonda diverse stazioni missionarie.


Mons. Colombo si difende dalle affettuosità di una leonessa. 
Nel 1960 in Somalia scoppia la rivoluzione socialista e nel 1972 vengono confiscate e nazionalizzate scuole, ambulatori e tipografie della missione. Rimangono solamente la chiesa e la cattedrale. Rimangono anche due piccole comunità di suore che si occupano di un asilo e di un lebbrosario. Qui lavora per oltre 40 anni Padre Pietro Turati (clicca qui), compagno di monsignor Colombo, che sarà poi assassinato nel 1991. Nel 1976 Paolo VI  elegge Salvatore Colombo a vescovo della diocesi di Mogadiscio.  Inizia così una vastissima opera di carità verso i profughi dell'Ogaden  e verso la gente più abbandonata della Somalia realizzando molti progetti di promozione umana e sociale come testimonianza del Vangelo in mezzo a quelle popolazioni totalmente islamiche.


Mons. Colombo riceve un dono da una suora
Cattedrale di Mogadiscio - Monsignor Colombo impartisce i sacramenti della Santa Eucarestia e della Cresima

Martire della carità, il 9 luglio 1989, viene ucciso vicino alla cattedrale di Mogadiscio, mentre all'interno si celebra l'Eucarestia e si prega "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo".
Leggiamo quanto scrive a proposito dell'assassinio di Monsignor Colombo, padre Massimiliano Taroni, allora giovane francescano in Somalia nel libro "Monsignor Salvatore Colombo", edito da VELAR "... sono le 19,15 ed io, rassegnato al fatto di non aver accompagnato padre Salvatore (alla chiesa del Sacro Cuore), partecipo alla Santa Messa in italiano in Cattedrale; mi trovo al primo banco, a pochi metri dal luogo dove P. Salvatore offrirà la sua vita, versando il proprio sangue.
E' il momento dell"Agnello di Dio" e nella Cattedrale si sente un colpo forte e secco, uno sparo uno sparo che risuona fragoroso destando sgomento: subito fra Paolo Guzzi, avendo sentito gridare "aiuto!" esce all'esterno; dopo pochi istanti lo si vede rientrare affannosamente e dirigersi verso il sacerdote sull'altare. Intuisco che qualcosa di grave deve essere successo ed anch'io corro velocemnte fuori dalla Cattedrale, subito seguito da fra Paolo, da P. Venanzio Tresoldi, che ha interrotto la S. Messa e da due suore. Una terribile scena ci si presenta: è ormai buio da quasi un'ora, ma il corpo del Vescovo accasciato al suolo lo si scorge bene a causa del candido abito bianco che indossa. Giace nell'aiuola accanto alla stradina che conduce ai garages con il corpo colpito mortalmente. Mentre mi inginocchio e gli prendo le mani, un brivido m'assale, un brivido che mi congela lo sguardo e il cuore. Padre Venanzio ancora rivestito dei Sacri Paramenti, porge l'assoluzione a Padre Salvatore, quindi ritorna in chiesa per terminare la Messa. Io e fra Paolo invochiamo affettuosamente "Monsignore, Monsignore!". In quell'istante accorre anche don Palmiro, un sacerdote-medico ospitato dal monsignore; s'inginocchia anch'egli e. accostandosi al viso privo di sensi, riesce a percepire un lieve respiro: è ancora vivo. Io e fra Paolo corriamo precipitosamente in cantina a prendere una barella e, in un batter d'occhio, adagiatovi P. Salvatore, lo portiamo all'interno della casa, in quella stessa sala dove accoglieva i suoi ospiti e dove in mattinata ha accolto anche il killer che lo avrebbe poi assassinato... P. Salvatore è ora cosciente, si muove e a tutti rivolge il suo paterno sguardo che mai dimenticherò e che sempre ho impresso in mente. Quei suoi occhi così espressivi e dolci sembrano dire: Vi ho voluto bene, ora vi lascio...".I giorni successivi all'assassinio sono giorni tremendi e intensi... Dall'Italia giungono tre frati: il P. provinciale di allora, P. Arcangelo Zucchi, P. Giorgio Bertin e fra Gianni Losio ... I funerali sono fissati per il giorno 15 luglio. Dalle autorità giunge l'ordine che avvengano in gran segreto di sera durante il coprifuoco. Giunge pure il nunzio apostolico da Kartoum, Mons. Roblez Dias. Sono le 21 del 15 luglio. Giunge scortato dalla polizia il feretro di Mons. Colombo su di una barella. Fra Paolo Guzzi, per anni a fianco del vescovo e abile falegname, ha costruito la cassa, semplicissima. Nella cattedrale si è preparato, nella navata di destra, il vano per seppellire il vescovo. Per strada non c'è un'anima viva. solo polizia. Nella Cattedrale sono presenti tutti i frati della missione, quattro frati di Milano tra cui il sottoscritto, il nunzio apostolico, un sacerdote bresciano, un somalo, una manciata di suore e uno dei nipoti del vescovo, allora membro del Parlamento Europeo a Bruxelles. Al termine, badili alla mano, tutti i celebranti seppelliscono il vescovo come un martire dei primi secoli.
Due anni più tardi la cattedrale è rasa al suolo e le quattro tombe dei vescovi sono scoperchiate, devastate e i resti dispersi.  Qualche settimana dopo le mani pietose di alcuni paracadutisti italiani e del loro cappellano raccolgono ciò che resta dei quattro presuli. Quattro minuscole cassette con qualche ossa restano per alcuni anni nel deposito di un cimitero, in Italia. Finalmente i resti mortali del vescovo dei poveri e del martire della carità, Monsignor Salvatore Colombo, e dei vescovi Bernardino Bigi, Fulgenzio Lazzati, Silvio Zocchetta vengono inumati. Riposano ora sotto l'altare di S. Francesco nella Basilica di S. Antonio di Padova, in via Farini a Milano. E' il 12 novembre 1997."
In un altro libro "Omicidio a Mogadiscio - L'ultimo vescovo al crepuscolo della Somalia" di Dario Paladini, a pag 31, si legge, riguardo al funerale di Mons. Colombo: "In tutto nella Cattedrale vi erano 30 persone, oltre ai frati, alle suore e al nipote, due sacerdoti ospiti del vicariato e l'ambasciatore Mario Manca accompagnato da Claudio Pacifico. L'unico somalo presente è Fulgenzio, il sacrestano, al quale spetta così il compito di rappresentare la piccola comunità cristiana locale..."


Fulgenzio (Mohamed Farak Osman prima del Battesimo), sacrestano della Cattedrale di Mogadiscio.
Fulgenzio è nato nel 1935 ed è morto a Milano il 25 maggio 2015. Per tanti anni è stato  sacrestano nella chiesa francescana di S. Angelo di via Moscova dopo la forzata fuga da Mogadiscio su un aereo italiano per sfuggire alla morte.



Riposa in pace.
Rovine della Cattedrale di Mogadiscio dopo la distruzione del 1991

Per saperne di più:


OMICIDIO A MOGADISCIO - L'ULTIMO VESCOVO AL CREPUSCOLO DELLA SOMALIA
di Dario Paladini - Introduzione di mons. Giorgio Bertin - Contributo del sen, Giovanni Bersani

Paoline, 2006
Pietro Salvatore Colombo (Wikipedia)
Il Vescovo col saio
Omicidio a Mogadiscio (CLICCA QUI PER LEGGERE IL LIBRO)
La Cattedrale di Mogadiscio
Somalia, mons. Bertin: basta fame e guerra
Aiuto alla Somalia
Guerra civile in Somalia
Somalia (Wikipedia)
Mogadiscio (Wikipedia)
Diocesi di Mogadiscio (Wikipedia)
Chiesa cattolica in Somalia


Monsignor Colombo, vescovo dei poveri e martire della carità
di Massimiliano Taroni - Editrice VELAR, 2009
Altare di San Francesco nella Basilica di S. Antonio di Padova a Milano.
Qui riposano le spoglie di Mons. Salvatore Colombo, Bernardino Bigi, 

Fulgenzio Lazzati, Silvio Zocchetta dal 12 novembre 1997
Preghiera per le popolazioni della Somalia

martedì 17 novembre 2015

Padre Pietro Turati (Nuvolera 19/10/1919 - Gelib (Somalia) 8 febbraio 1991 - Martire francescano

Con la mia voce al Signore grido aiuto,
con la mia voce supplico il Signore
Salmo 141



Padre Pietro Turati (Ordine Frati Minori) è nato in un paese del bresciano, Nuvolera, ma ha voluto morire nella sua patria d'elezione, la Somalia, a Gelib. Pur essendo in grande pericolo di vita non ha voluto lasciare i suoi lebbrosi somali, i suoi orfanelli. L'8 febbraio 1991 (data presunta della morte) è stato barbaramente ucciso, accoltellato di notte, nella sua casa, da ribelli nell'ambito della guerra civile somala che ha insanguinato il paese e che dura a tutt'oggi.
Durante questa guerra furono molti i cristiani  assassinati dagli islamici.
Il 9 luglio 1989, due anni prima, era stato assassinato l'amico fraterno di padre Pietro,  Salvatore Colombo, sacerdote francescano, da 42 anni in Somalia, vescovo di Mogadiscio.
Un colpo di pistola al cuore sparato da un assassino rimasto ignoto ha stroncato la sua  vita fuori della cattedrale di Mogadiscio.


Cattedrale di Mogadiscio prima della distruzione
Il 9 gennaio 1991 erano state assalite, saccheggiate e date alle fiamme la residenza dei missionari e la cattedrale di Mogadiscio, bruciati la preziosa biblioteca e l'archivio. Bruciati gli altari, bruciata la sacrestia, bruciato l'organo, bruciate le stanze dei missionari. Anche ministeri, ospedali, università furono distrutti. Si sparava ovunque. In cattedrale comparvero scritte anticristiane sui muri, le tombe dei vescovi furono violate e i resti dispersi. La comunità cristiana somala era dispersa. Anche l'altra chiesa cattolica di Mogadiscio, dedicata al Sacro Cuore di Gesù subì la stessa sorte. Distrutte e saccheggiate anche le residenze delle suore.   Italiani e religiosi si rifugiarono nell'ambasciata italiana che li fece trasferire su mezzi blindati all'aeroporto dove riuscirono a imbarcarsi su aerei diretti prima a Mombasa e poi finalmente in Italia.
Padre Pietro rimase assolutamente solo a Gelib con gli orfani ricoverati nell'edificio dell'ex missione. Il mattino dell'8 febbraio padre Pietro fu trovato morto in casa con ferite da coltello. Fu sepolto nel cortile della missione, per ordine del santone (capo villaggio musulmano), ed è stato sepolto con il suo vestito da lavoro tutto insanguinato. Non aveva neppure la sua bara (che tutti i missionari francescani si portano appresso quando vanno in missione), perché l'aveva regalata a un morto italiano a cui lui stesso, poco tempo prima, aveva dato cristiana sepoltura, Come Francesco, nudo nella nuda terra, spogliato di tutto.
A chi volesse approfondire la storia esemplarmente cristiana e commovente di padre Pietro Turati consigliamo vivamente  la lettura del libro "Padre Pietro Turati, martire francescano in Somalia (da cui sono state ispirate queste note) scritto da due suoi confratelli, frati minori come lui, missionari  che hanno avuto la grazia di conoscerlo e frequentarlo mentre era in vita, padre Filiberto Sabbadin e padre Massimiliano Taroni. Fra Taroni lo conobbe giovanissimo, 23 anni, a Mogadiscio nel luglio 1989, poco dopo l'assassinio di monsignor Colombo, assassinio di cui l'allora giovanissimo padre Taroni fu testimone. Tutti questi frati hanno un luogo in comune: la Basilica dedicata a Sant'Antonio di Padova a Milano in via Carlo Farini 10. Monsignor Colombo è sepolto in questa basilica all'altare dedicato a san Francesco d'Assisi. Padre Filiberto Sabbadin, missionario per 26 anni e autore di molti bellissimi libri, ha servito molti anni nel convento dei frati minori annesso alla basilica (impossibile dimenticare le sue profonde, coraggiose omelie, il suo piglio energico e nello stesso tempo misericordioso in confessionale)  e adesso riposa nel Campo XI del cimitero Maggiore di Milano, insieme ai confratelli dell'Ordine dei Frati Minori. Qui riposa anche Fulgenzio, cattolico laico somalo di Mogadiscio,fuggito anche lui dalla Somalia in quel terribile anno. Fulgenzio ha rischiato la vita (era un islamico convertito), ma è rimasto fedele al suo Gesù e ai frati. A Milano, profugo, ha prestato servizio per più di vent'anni, come sacrestano, presso la chiesa francescana di Sant'Angelo, in Moscova ed è morto il 25 maggio 2015. Padre Massimiliano Taroni, il più giovane, ha servito presso il santuario basilica di sant'Antonio come Segretario delle missioni francescane lombarde e anche lui è autore di molte notevoli pubblicazioni. Padre Pietro Turati è stato trasferito nel convento di via Farini a Milano nel 1947 per frequentare l'ultimo anno di teologia. Dopo l'ordinazione sacerdotale ricevuta il 27 giugno 1948 nel Duomo di Milano dalle mani del Cardinale Ildefonso Schuster, è partito, come da sua insistente richiesta, ai primi del mese di agosto, per la Somalia da cui non è più tornato.


Preghiera di intercessione


Per informazioni, per ricevere immagini o segnalare grazie ricevute per l'intercessione di
Padre Pietro Turati, rivolgersi a:
Segretariato Missioni Francescane lombarde - Convento di San Francesco, via S. Francesco, 7
24060 Cividino (BG)
Tel.  030 732202 - 73171
e-mail missioni@fratiminori.it

Bibliografia

Titolo: PADRE PIETRO TURATI - Martire francescano in Somalia
Autori: Filiberto Sabbadin e Massimiliano Taroni
Casa Editrice: VELAR

LINK

SANTI E BEATI
FRATI MINORI DI LOMBARDIA
EDITRICE VELAR
GOOGLE BOOKS - TESTIMONIANZA
Chiesa cattolica in Somalia - Wikipedia
Africa il paradiso perduto di Mario Tonini Bossi
Gazzetta del Mezzogiorno - I resti di 700 italiani di Mogadiscio, recuperati dall'esercito e tumulati a Bari
Diocesi di Padova - La Chiesa Cattolica in Somalia
Diocesi di Gibuti - Wikipedia
Parrocchia di Virle Treponti


La tomba di Padre Pietro Turati, 
visitata dal Vescovo di Gibuti, Giorgio Bertin




martedì 22 settembre 2015

LCpl Gregory T. Buckley. Jr (17 luglio 1991-10 agosto 2012), Marine USA - Assassinato in Afghanistan


"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" 
(Gv 15, 13)

Gregory T. Buckley, caporale dei Marines


Gregory Buckley era un caporale dei Marines di 21 anni, nato a Oceanside NY, cattolico, assassinato in Afghanistan il 10 agosto 2012, subito dopo aver rivelato al padre in una telefonata, il suo orrore e la sua disperazione per non poter difendere alcuni ragazzini afghani vittime di stupro continuato da parte di un ufficiale della polizia afghana. 

Per meglio comprendere la sua storia e il suo sacrificio pubblichiamo di seguito l'articolo del giornalista Mirko Molteni del 22 settembre 2015:



"Non c'è limite all'orrore, a dar retta al New York Times, che ha rivelato una tragedia finora messa sotto silenzio dalle autorità americane. In Afghanistan molti militari USA sono stati testimoni di abusi sessuali su ragazzini compiuti da alcuni bestiali ufficiali afghani del governo di Kabul alleato di Washington, senza poter intervenire per evitarli.

Per tutti i soldati americani l'ordine era di "non intromettersi e voltarsi dall'altra parte", piuttosto che litigare con gli alleati afghani. 

La scusa del Pentagono era che "è una loro tradizione"  detta bacha bazi (clicca qui), cioé "giocare con i ragazzini". Si dice diffusa soprattutto nella provincia di Kandahar.
Molti sono i soldati americani che non si sono rassegnati a questa omertà. Ad esempio il caporale dei Marines Gregory Buckley, che ne parlò nel 2012 nell'ultima telefonata fatta dal fronte a suo padre, pochi giorni prima di essere ucciso in circostanze ancora misteriose, Buckley aveva riferito che il comandante afghano Sarwar Jan acquartierato nella stessa base, la "Delhi" nella provincia di Helmand, dove stava il suo reparto di marines, aveva dei ragazzini come schiavi "le cui urla si sentivano di notte dalla sua baracca". Il marine si lamentava perché "non ci è permesso intervenire". Buckley fu ucciso poco dopo la telefonata. Le prime notizie davano per colpevole "un ufficiale di polizia afghano", solo in seguito uscì una versione che incolpava alcuni di quei ragazzini. Il padre del soldato non ha dubbi: "La morte di Gregory ha a che fare con la sua denuncia".
Più fortunati due Berretti Verdi, seppure con carriera compromessa. Il capitano Dan Quinn e il sergente Charles Martland hanno ricordato come nel settembre 2011 abbiano tempestato di pugni un comandante afghano delle milizie addestrate dagli stessi americani, tale Abdul Rahman, dopo aver scoperto che aveva rapito un bambino da un villaggio della zona di Kunduz e lo teneva incatenato al suo letto come schiavo. Per tutta ricompensa, Quinn è stato rimosso dal comando e rimpatriato, poi ha lasciato disgustato l'US Army, mentre Martland rischia di essere espulso. Dice il primo: "Molti civili afghani ci dicevano che stavamo mettendo al potere nei villaggi comandanti governativi che erano perfino peggiori dei talebani". Del caso di Martland si sta interessando il deputato repubblicano Duncan Hunter, che vuole vederci chiaro coi capi del Pentagono, ma la risposta finora data da un portavoce dell'esercito Usa, colonnello Brian Tribus, suona pazzesca: "Casi del genere rientrano sotto la giurisdizione della polizia afghana e noi non siamo tenuti ad intervenire". Il sergente Martland, ancora di recente, ha ribattuto con una lettera all'esercito che "io e Quinn moralmente non potevamo tollerare crimini perpetrati dalla polizia locale afghana"."


Cattedrale di Santa Agnese, Rockville Center

I funerali di Gregory sono stati celebrati nella cattedrale di Santa Agnese di Roma, il 18 agosto 2012,  nella diocesi di Rockville Center, con una grandissima e commossa partecipazione dei commilitoni e degli amici stretti alla madre, al padre e ai fratelli del giovane eroe statunitense.





LINK:
VIDEO DEL FUNERALE DI GREGORY BUCKLEY

Rest in peace, Gregory and pray for us!

Bibliografia:



venerdì 10 luglio 2015

Beato Martin Martinez Pascual - Sacerdote (1910-1936) - Fucilato dai comunisti durante la guerra civile spagnola

Martin Martinez Pascual, nato l'11 novembre 1910 e morto il 18 agosto 1936, è stato un sacerdote cattolico spagnolo, assassinato, in odio alla fede, dai miliziani repubblicani spagnoli durante la guerra civile spagnola.
La foto sottostante è stata scattata qualche minuto prima della sua fucilazione dal fotografo tedesco  Juan Guzmàn, di fede marxista, presente sul posto e impressionato dal grande coraggio dimostrato dal giovane che non aveva voluto essere fucilato alle spalle. Aveva 25 anni. Fu beatificato il 1° ottobre 1995 e la sua festa ricorre il 18 agosto. 
Appartenente alla Fraternità Operaia del Sacro Cuore di Gesù, era stato ordinato sacerdote l'anno precedente la sua morte.
Prima di morire, come ultimo desiderio disse queste parole, rivolte ai suoi assassini: "Non voglio altro che darvi la mia benedizione affinché Dio non vi imputi la follia che state per commettere". Dopo averli benedetti aggiunse: "E ora lasciatemi gridare con tutte le mie forze: viva Cristo Re!"

Beato Martin Martinez Pascual, sacerdote, (1910-1936), qualche istante prima della fucilazione


Siti sul Beato Martin Martinez Pascual:
SANTI E BEATI
OCCHI DI CIELO DI ANTONIO SOCCI
IL BLOG DI COSTANZA MIRIANO
LA ROCCIA SPLENDENTE
CATHOPEDIA


Bibliografia:



Titolo: Avventurieri dell'eterno

Autore: Antonio Socci

Editore: Rizzoli

martedì 7 aprile 2015

I martiri della guerra civile italiana (1943-1949) - Don Luigi Lenzini, Servo di Dio (Modena 1881 - Modena 1945)

"So di essere alla tua presenza, o Gesù mio, e benché con gli occhi non ti veda, pure la Fede mi dice che Tu sei lì in quell’Ostia, vivo e vero, come lo fosti un dì sulla terra. Sì, lo credo, o Gesù, più che se ti vedessi con gli occhi, e sapendo di essere alla tua reale presenza, il mio primo dovere è di adorarti. Ti adoro con lo spirito di adorazione con cui ti adorò tua Madre, quando ti vide nato nella grotta di Betlemme. Voglio la Fede e la carità del tuo padre putativo S. Giuseppe per adorarti come meriti. Ti adoro con le adorazioni dei tuoi Apostoli e soprattutto con quella del tuo diletto Pietro, quando ti disse: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Fa’, o Gesù, che la mia adorazione non si limiti a questo giorno, ma che il mio pensiero sia sempre vicino al tuo santo Tabernacolo".
Don Luigi Lenzini


Processo diocesano "sprint". già a Roma la causa. Nascondeva i partigiani, ma predicava contro l'ideologia comunista. Presagiva la sua fine e la confidò in predica. Fu torturato e ucciso, la sentenza di morte emessa da una cellula del PCI.

Ucciso sull'Appennino Tosco Emiliano a pochi Km dal luogo di martirio di Rolando Rivi, Don Luigi Lenzini oggi è stato proclamato Servo di Dio dall'Arcidiocesi di Modena e Nonantola. Parroco di Crocette di Pavullo (in provincia di Modena), Don Lenzini era a conoscenza del clima di aperto odio verso i preti, però riteneva che fosse suo dovere mettere in guardia i giovani contro i nemici della fede e della libertà. Al tempo stesso condannava la violenza di operazioni belliche compiute in prossimità di nuclei abitati che comportavano ritorsioni sulla popolazione civile. Fu minacciato più volte di morte. E per questo venne preso di mira: attraverso di lui si voleva dare una lezione agli altri sacerdoti, perché non prendessero posizione sui fatti concreti, ma parlassero soltanto di un'etica astratta, non riconducibile a fatti reali, altrimenti venivano accusati di fare "politica". Le sue omelie vennero regolarmente riferite alla sede del partito comunista di Pavullo in modo rozzo e tali da apparire come una severa condanna di quella parte politica. Ci fu un episodio che vide protagonista il toscano Ermanno Cirri, che nella sede del partito esclamò: "Quello è un prete da togliere dalla spesa". Lo cercò e ai suoi parrocchiani disse che "che voleva insegnargli come si doveva parlare in chiesa". Don Lenzini gli rispose che era il parroco e non poteva non fare il suo dovere. Pur minacciato di morte - spiega oggi il comitato che sostiene la sua causa di beatificazione - egli sentiva il dovere di predicare la verità; Tuttavia dava l'impressione a chi lo avvicinava, di presentire che qualche cosa di terribile stava per abbattersi sulla sua umile vita. Fu visto alcune volte in sacrestia impegnato in discussioni concitate con sconosciuti. Più volte, la domenica, spiegando il Vangelo, fece intravedere ai fedeli il dramma che si agitava nel suo cuore: "Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma devo fare il mio dovere anche a costo della vita. Il 21 luglio 1945, a guerra ormai finita, venne svegliato con il pretesto di portare i sacramenti ad un moribondo, ma capì che era un espediente, così rispose che aveva visitato l'ammalato la stessa sera e sarebbe tornato l'indomani mattina. Gli assalitori penetrarono in canonica da una finestra lasciata aperta, con una scala a pioli.  Quattro individui mascherati ed armati terrorizzarono la perpetua, la figlia e la nipote, che fuggirono in una casa vicina. Il sacerdote tentò di salvarsi rifugiandosi nel campanile e suonando la campana a  martello, ma gli assalitori cominciarono a sparare sul piazzale. Erano persone pratiche della canonica e del campanile e trascinarono giù il sacerdote in camicia da notte, lungo un sentiero nel bosco. Don Lenzini fu torturato brutalmente e assassinato. Il suo corpo semisepolto fu rinvenuto una settimana dopo in una vigna. Lo stato del cadavere fece chiaramente capire che gli assassini avevano infierito sul sacerdote con efferata crudeltà. L'unico processo del 1949 si svolse in un'atmosfera di paura e di omertà e non seppe assicurare alla giustizia umana i colpevoli, mandanti ed esecutori. Gli imputati furono assolti per insufficienza di prove. L'8 giugno 2011 viene aperto il processo diocesano e proclamato il parroco Servo di Dio. La causa è ora a Roma presso la Congregazione per le cause dei santi.
(Fonte: Don Luigi Lenzini (clicca qui) ).
Tratto dal Dossier 
"I santi martiri del triangolo della morte,
 calunniati e massacrati in nome di Cristo",


sabato 7 febbraio 2015

Beato don Francesco Bonifacio (1912-1946), vittima dei partigiani comunisti di Tito, martire della foiba

" Chi non ha il coraggio di morire per la propria fede è indegno di professarla"
(Da una lettera di don Francesco Bonifacio scritta nel 1946)


Don Bonifacio nacque a Pirano (oggi Slovenia) il 7 settembre 1912 e morì assassinato a Grisignana l'11 settembre 1946, a 36 anni, dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Gli assassini erano guardie popolari dei comunisti jugoslavi di Tito. Fu sorpreso sulla strada  del ritorno a casa, torturato e infine gettato in una foiba. Il suo corpo non fu mai più ritrovato (molti anni dopo, una delle guardie popolari, ritrovata da un regista teatrale raccontò che Don Bonifacio era stato spogliato della talare, colpito con pugni al volto, finito con due coltellate e infine gettato in una foiba).
Il processo canonico accertò che il suo assassinio fu "in odium fidei" e pertanto oltre che Beato fu dichiarato Martire della chiesa Cattolica.
Bonifacio, fin da bambino buono, paziente e umile,  ebbe sei fratelli, uno dei quali fu arrestato, dopo la sua morte, dai partigiani perché cercava e chiedeva a tutti notizie del fratello scomparso.
Frequentò il seminario a Capodistria e fu ordinato sacerdote a Gorizia nel 1936.
Durante il suo sacerdozio, pur godendo di ben poca salute,  fece parte come attivista dell'Azione Cattolica e molte furono le iniziative a favore dei giovani, degli anziani, degli ammalati e dei poveri della sua parrocchia di Villa Cardossi.
La causa di beatificazione fu iniziata nel 1957, ma rimase a lungo ferma a causa della difficile situazione politica di quelle zone e si sbloccò solo nel 1997.
La cerimonia di beatificazione è avvenuta il 4 ottobre 2008 nella Cattedrale di San Giusto a Trieste.
La sua festa ricorre l'11 settembre.


CATHOPEDIA - BEATO FRANCESCO BONIFACIO
Don Bonifacio, il primo Beato vittima delle foibe
LA BEATIFICAZIONE DI DON FRANCESCO BONIFACIO
LA TESTIMONIANZA DEL FRATELLO SACERDOTE
WIKIPEDIA
MARTIRI CRISTIANI DEL XXI SECOLO
Ricordando Don Bonifacio
Gris Imola
50 SACERDOTI FRA LE VITTIME DELLE FOIBE
UCCISIONE DI ECCLESIASTICI IN ITALIA NEL SECONDO DOPOGUERRA
MASSACRI DELLE FOIBE

BEATO FRANCESCO GIOVANNI  BONIFACIO
 PREGA PER NOI E PER LA PACE

BIBLIOGRAFIA
Titolo: Sopravvissuti e dimenticati, il dramma delle foibe e l'esodo dei giuliano-dalmati

Autore: Marco Girardo

Editrice: Paoline


Il testo di M. Girardo prende in considerazione due eventi storici riconducibili alla seconda guerra mondiale e all'immediato dopoguerra:-la sparizione nelle foibe di circa 5000 persone (soldati e civili, per lo più italiani) a opera del movimento partigiano jugoslavo, destinato a confluire nelle armate di Tito;-l'esodo verso l'Italia di circa 300mila persone (per lo più italiane) che abitavano l'Istria e la Dalmazia quando queste regioni, alla fine della guerra, furono assegnate alla Jugoslavia (trattato di Parigi, 10 febbraio 1947). Nelle pagine di questo libro, Girardo intervista tre persone direttamente o indirettamente coinvolte nelle vicende citate. Il primo personaggio è Graziano Udovisi, l'unico sopravvissuto alle foibe che sia ancora in vita, il quale racconta con impressionante dovizia di particolari quelle ore in cui la morte vicinissima gli fu miracolosamente risparmiata. Il secondo intervistato è Piero Tarticchio, esule di Gallesano, il quale, avendo perso il padre e altri parenti in una foiba, ha vissuto entrambe le drammatiche esperienze che hanno segnato la gente giuliano-dalmata.Infine la parola passa a Nata?a Nemec, una storica slovena di Nova Gorica che ha cercato di stilare un elenco dei caduti nelle foibe, sfidando in molti casi la diffidenza dei colleghi e dei connazionali.